Dal Sapiente Siracide della prima lettura abbiamo ascoltato:
La preghiera del povero attraversa le nubi
né si quieta finché non sia arrivata;
non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto
e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità.
E poi con il salmo responsoriale abbiamo detto con certezza: Il povero grida e il Signore lo ascolta.
Ed abbiamo invitato i poveri ad ascoltare e a rallegrarsi perché
Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia.
Quanto è potente la preghiera del povero, raggiunge e oltrepassa le nubi, arriva fino all’Altissimo e permette al Signore di farsi vicino a chi ha il cuore spezzato, di riscattare la vita dei suoi servi. La preghiera del povero giustifica l’uomo.
E le nostre orecchie hanno ascoltato dal Vangelo la parabola del fariseo e del pubblicano. Due uomini, diversi, con un bagaglio di vita opposto, un fariseo ed un pubblicano salirono al tempio a pregare.
Una parabola che Gesù racconta, oggi, a questa santa assemblea e che raggiunge il cuore di ciascuno che spesso sperimenta ed è vittima dell’orgoglio ed allora si ha l’intima presunzione di essere giusti noi soli e, conseguentemente, si disprezza gli altri.
Ecco il fariseo, sicuro di sé, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini…”. Il fariseo prega tra sé, cioè rivolge la preghiera a sé stesso; il fariseo prega tra sé, cioè si è allontanato dal fratello ed allora ecco la sua preghiera: ti ringrazio perché non sono come gli altri. Una preghiera idolatrica perché rivolta a sé stesso, una preghiera che non permette di volgere gli occhi al fratello se non per guardare la pagliuzza che è presente nell’occhio del fratello. Le opere del fariseo, tutte belle e buone, di numero superiori a quelle richieste digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo; la stessa vita del fariseo è da lodare perché non è ladro, ingiusto, adùltero, ma la sua preghiera non è la preghiera del povero e pertanto non oltrepassa le nubi, non raggiunge il cuore del Padre e non permette al Padre della misericordia di farsi vicino, di giustificare. La preghiera del fariseo non è la preghiera del povero perché il fariseo ha escluso Dio dalla sua vita e lo ha sostituito con il proprio io; la preghiera del fariseo non è la preghiera del povero perché disprezza il fratello, l’icona vivente, la carne vera di Gesù Cristo.
E il pubblicano, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Invochiamo ogni giorno il dono dello Spirito, a te don Sandro la comunità chiede di tenere sempre le tue braccia alzate perché la nostra preghiera, la preghiera di questa assemblea santa e di ciascuno di noi sia sempre la preghiera del pubblicano.
Non alziamo gli occhi al cielo ma facciamo sì che il nostro cuore e la nostra povertà raggiungano il cielo, oltrepassino le nubi, gridando forte mentre ci battiamo il petto: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Fermiamoci a distanza perché sia Lui, il Padre misericordioso a farsi vicino a noi che sperimentiamo ogni giorno, nel nostro vivere quotidiano, un cuore spezzato, lacrimante, bisognoso solo di riscatto, di una carezza, bisognoso solo di giustificazione.
“O Dio, abbi pietà di me peccatore” è la preghiera del povero, è la preghiera del pubblicano che gli permette di tornare a casa giustificato.
“O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Diventi la nostra preghiera. Sia sempre la preghiera della Chiesa, di ogni assemblea santa, di ogni membro del Corpo di Cristo.
“O Dio, abbi pietà di me peccatore” è la preghiera del povero che si lascerà prendere in braccio dall’Amore del Padre ed accoglierà il perdono dalla sua misericordia, che con la sua forza può curare e guarire la nostra debolezza.
“O Dio, abbi pietà di me peccatore” è la preghiera del povero che non perderà tempo a guardare fuori di se stesso, scrutando con occhio cattivo le mancanze degli altri.
“O Dio, abbi pietà di me peccatore” è la preghiera del povero che veglierà su se stesso, accettando di riconoscere la propria condizione di peccatore, di uomo o donna che “non fanno il bene che vogliono, ma il male che non vogliono”.
“O Dio, abbi pietà di me peccatore” è la preghiera del pubblicano, è la nostra preghiera che aprirà il nostro cuore alla confidenza nella tua misericordia per essere giustificati solo nel tuo nome.